Il noto giornalista: “Nella mia vita mai avrei immaginato di poter divenire amico di alcuni di coloro che nel 1982 avevano portato me e milioni di italiani ad esultare in strada per il titolo mondiale”
Abbiamo raggiunto, dapprima telefonicamente e poi via e-mail, il noto giornalista sportivo Mino Taveri, conduttore di innumerevoli trasmissioni televisive tra le quali “Zona” con cui, nel 1999, vinse il premio come miglior magazine calcistico italiano, e altre ancora: “Studio Sport“, “Guida al Campionato“, “Domenica Stadio”, “Sport Mediaset XXL”. Nella sua lunga esperienza televisiva, tra Tele +, Sky e Mediaset, è stato spesso affiancato da alcuni dei più grandi calciatori della storia.
Cosa l’ha portata al giornalismo sportivo?
Il giornalismo sportivo, ma soprattutto il giornalismo televisivo, è sempre stata la mia passione. Sono cresciuto giocando a basket, l’ho praticato per tanti anni ma nel frattempo mi dilettavo a parlare di basket e di sport in generale, nelle radio e televisioni locali della mia città, Brindisi. Per questo, quando è arrivato il momento di pensare a cosa fare “da grande”, il passo è stato quasi automatico. Mi piaceva parlare di sport, ma soprattutto mi piaceva farlo con un microfono davanti e così mi sono dato da fare per vedere come riuscirci.
Dal 1991 al 2005 ha lavorato per Tele+ e quindi poi per Sky, lunghi anni durante i quali ha condotto diverse trasmissioni di successo. Cosa ricorda di quel periodo e dei suoi compagni di viaggio? Tra i quali ci sono i compianti Paolo Rossi e Gianluca Vialli.
Anni indimenticabili, ho avuto la fortuna di entrare nel mondo della televisione in un momento di grandissimi cambiamenti. Tele+ è stata la prima pay-tv italiana e la prima a trasmettere le partite di calcio, un’autentica rivoluzione all’epoca. Ricordo in quel periodo lo scetticismo dilagante, quando in tanti pensavano che il calcio in tv avrebbe sconvolto le domeniche degli italiani. Oggi mi viene da sorridere nel vedere che partite di calcio ce ne sono praticamente tutti i giorni. Sono stati anni in cui davvero in televisione si poteva sperimentare tanto, con orgoglio posso sottolineare che io e i miei colleghi dell’epoca abbiamo davvero anticipato i tempi. Molti dei programmi che si sono poi visti negli anni a seguire ricalcavano quello che siamo riusciti a fare noi allora. Parlare di Paolo Rossi e Gianluca Vialli oggi davvero mi provoca un’emozione indescrivibile, pensare di aver lavorato e frequentato (anche fuori dall’ambiente lavorativo) quelli che erano stati i miei idoli sportivi mi riempie di orgoglio. Pablito era una persona di una gentilezza unica, sempre disponibile, sorridente, cordiale con tutti, roba che oggi, dinanzi ad alcuni atteggiamenti di calciatori, che in carriera non hanno realizzato nemmeno un decimo rispetto a loro, provo una rabbia unica. Poi Gianluca, grande persona, sempre avanti con i tempi, mi colpiva la sua curiosità, sempre voglioso di approfondire qualsiasi cosa facesse, accompagnata da una professionalità fuori dal comune. Ogni cosa che facevamo insieme nelle trasmissioni dell’epoca, ricordo con piacere la sua collaborazione in un programma da me condotto che si chiamava “Zona“, quando lui giocava nel Chelsea, voleva farla sempre alla perfezione, curando ogni dettaglio. Un grande uomo davvero.
Ci vuole raccontare qualche aneddoto soprattutto riferito ai due?
Di Gianluca mi piace ricordare il giorno del suo matrimonio, eravamo invitati nella sua residenza cremonese e al termine della cena ci invitò a prendere il dolce in giardino, mentre ci incamminammo verso l’esterno, sentimmo un gruppo suonare le note di “All Night Long” di Lionel Richie, un arrangiamento eseguito alla perfezione, tanto che eravamo curiosi di sapere chi fossero questi musicisti così bravi. Quando siamo arrivati in giardino ci siamo accorti che si trattava di Lionel Richie in persona e del suo gruppo!!! Pablito invece mi faceva morir dal ridere quando prendeva in giro il nostro amico comune Antonio Cabrini, soprattutto nel ricordargli il rigore sbagliato nella finale mondiale. Uno spasso vederli assieme ricordare quei momenti e io che ero lì a pendere dalle loro labbra nel pensare che in quel luglio del 1982 scesi in strada da tifoso a festeggiare quel mondiale, non immaginando nemmeno lontanamente che un giorno sarebbero diventati miei amici.
Le posso dire che, ricordo, rimasi molto sorpreso nel sapere che aveva lasciato Sky per passare a Mediaset? Una scelta economica, professionale o altro? Se ne è mai pentito?
Solo la voglia di cambiare, provare altre emozioni, nuove realtà. Ero stato 14 anni tra Tele+ e Sky, poi mi arrivò l’offerta di Mediaset, una grande realtà, la televisione in chiaro per me che avevo sempre lavorato nelle pay-tv. Certo ci ho pensato molto, ero cresciuto in quell’ambiente con amici come Stefano De Grandis, Fabio Caressa, Flavio Tranquillo e tantissimi altri, ma alla fine ho pensato che nella vita è bello potersi mettere sempre alla prova in nuove avventure, diciamo che si trovano in questo modo sempre stimoli aggiuntivi. Non mi sono pentito affatto, anzi, se penso alle trasmissioni che poi mi sono state affidate in Mediaset, una su tutte, “Guida al campionato” con il mitico Maurizio Mosca, davvero mi ritengo una persona molto fortunata.
Senza volerla mettere in imbarazzo, ma quanto è difficile dire la verità in tv, soprattutto se scomoda? Mi riferisco magari nel commento di una partita, nel comportamento di un calciatore o allenatore. Diciamo al 51% è più facile o difficile?
Non ci sarà mai imbarazzo se chi fa il nostro mestiere si comporta con correttezza e professionalità. Il mestiere del giornalista prevede il racconto dei fatti anche con spirito critico, il che può comportare anche visioni differenti ma l’importante è che siano accompagnate dall’onestà professionale. Quello che conta è non sfociare nella maleducazione o nell’essere prevenuti e quindi dire qualcosa solo per il proprio tornaconto personale, ma quello del giornalista è un mestiere come gli altri, dove si possono comunque commettere degli errori. Come in ogni altro mestiere, poi c’è chi lo fa bene o meno bene.
Cosa pensa dei calciatori che non rinnovano il contratto arrivando sino alla naturale scadenza e quindi andando via a zero?
Lo prevede il regolamento e quindi non c’è niente di sbagliato, un calciatore è un professionista che fa un lavoro, pensa ai suoi interessi. O davvero siamo qui ancora a chiederci che uno giochi solo per amore sconfinato per la maglia che indossa? Certo, ognuno di loro può comunque legarsi a una società più che a un’altra, ma alla fine i contratti dettano legge…
Come e perché la Premier League può spendere con tanta facilità così tanto denaro?
Un po’ perché a volte hanno alle spalle finanziatori che non sanno come spendere i loro soldi e poi perché il calcio inglese, con il suo appeal e il suo riscontro nel mondo, permette anche di spendere ipotizzando dei guadagni, o comunque, dei rientri economici adeguati. Non dimentichiamo però che anche le squadre inglesi hanno fatto le loro belle figuracce nell’acquisto di alcuni calciatori, pagati uno sproposito e poi scomparsi. Solo che se alle spalle hai il petroliere o lo sceicco allora cosa volete che siano centinaia di milioni spesi nel calcio? La questione andrebbe affrontata alla fonte, dovrebbe essere sul tavolo di chi il calcio lo gestisce, di chi parla di fair play finanziario e poi di fronte a società indebitate sino al collo che continuano a spendere senza limiti non batte ciglio.
Perché il calcio italiano è nuovamente immerso in uno scandalo? Perché ancora l’Italia?
Attenzione, è successo anche in tanti altri campionati in altre nazioni, di scandali calcistici sono pieni i libri di storia anche oltre i nostri confini. Certo, l’Italia rimane sempre l’Italia anche quando si parla di calcio, diciamo che spesso quello che accade in ambito calcistico rispecchia molto l’andazzo del nostro paese, ma torniamo a quello che dicevo prima ed è un po’ quello che è la mia visione del mondo che ci circonda: spesso la colpa non è di chi commette una ingiustizia (chiamiamola così), ma di chi la permette senza mai intervenire.
Tutti contro la Juventus, è davvero così?
E’ un discorso lungo e difficile da affrontare, se così fosse davvero allora saremmo di fronte a un sistema che si regge su niente. L’unica cosa che mi sento di dire è che non mi convince in generale l’operato della giustizia sportiva, che a volte agisce senza nemmeno dare il tempo a chi è accusato di difendersi. E’ successo nel passato, ricordate l’incredibile squalifica inflitta a Paolo Rossi nella vicenda scommesse solo sulla base di dichiarazioni di alcuni truffatori? Ecco, diciamo che prima di prendere delle decisioni importanti andrebbero verificati meglio i fatti.
Lei è anche un amante del basket e della vela, vero? In quale ordine sono importanti per lei? Avrebbe voluto o potuto divenire un atleta professionista?
Avrei potuto diventare un atleta professionista nel basket, praticato comunque a buoni livelli, ma bisogna fare delle scelte se si vuole eccellere in qualcosa, non c’è purtroppo lo spazio né il tempo per poter far tutto. La pallacanestro e la vela, oggi preponderante rispetto al basket, anche perché mi permette ancora di praticarla, però rimangono le mie grandi passioni. Non credo ci sia niente di più bello di andare per mare senza sentire il rumore del motore!!!
Fonti foto: ilnapolista.it; mediaset.it; giornaledellavela.com
Luigi A. Cerbara