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Marco Franzelli: “Il giornalismo nel mio destino”

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Una professione desiderata e cercata con tutto se stesso, sin da subito, senza tentennamenti e senza alcun’altra meta se non quella di divenire un professionista dell’informazione

Ho avuto il grandissimo piacere di intervistare il noto giornalista Rai Marco Franzelli, con il quale abbiamo avuto una altrettanto piacevole conversazione e grazie al quale ho avuto un’ulteriore conferma che esiste l’amore per la propria professione, un amore vero, sincero, puro, viscerale che non ti abbandona mai. Ha iniziato a praticare alla tenera età di 17 anni per giungere poi in pianta stabile, in Rai a soli 20 anni e dove ha ricoperto innumerevoli ruoli, principalmente al Tg1, ma anche a Rai News come Vicedirettore e a Rai Sport sia da Vicedirettore che da Direttore. E’ stato Conduttore di “Uno Mattina” con Roberta Capua. Ha lavorato per e con i più grandi giornalisti dell’epoca, Maurizio Costanzo, Tito Stagno, Enzo Biagi, Gianni Minà e Sandro Ciotti.

Come vede la lotta scudetto? Ormai un discorso a due tra Napoli e Inter? Chi considera favorita?

Chiaramente, per quanto stiamo vedendo, i fatti ci dicono che le pretendenti allo scudetto sono Napoli e Inter. Onestamente non mi sembra che le altre squadre possano risalire la classifica e reggere questo confronto. Adesso c’è il Milan che ha fatto una campagna acquisti di primissimo piano, ma non credo abbia davanti il tempo necessario per una rimonta, quindi sarà una lotta tra Napoli ed Inter! Tra le due è certamente difficile scegliere, anche perché hanno allenatori bravissimi. Antonio Conte ovunque vada riesce a fare la differenza; Simone Inzaghi che magari in partenza appare poco quotato, dimostra continuamente la sua bravura a suon di risultati, entrambe le squadre hanno quindi una guida forte. L’Inter ha sicuramente una rosa più ampia, più solida, ma è anche vero però che, dall’altra parte, il Napoli non ha impegni extra campionato e si può quindi dire che si bilanciano e la classifica lo testimonia ampiamente. Mi auguro e spero, da osservatore esterno e da amante del calcio, che si decida tutto allo sprint perché lo trovo molto più coinvolgente, emozionate, per tutti, addetti ai lavori e tifosi in primis.

Cosa pensa del nuovo format delle Coppe europee? Le piace? E come vede le italiane nelle varie competizioni?

No, non mi piace assolutamente. Troppe partite! Credo che la forza, la bellezza di una competizione internazionale, così come gli europei, i mondiali è l’attesa di quella partita, come potrebbe essere nelle competizioni per club un Juventus-Real Madrid, un Milan-Manchester City. Quando c’è una partita ogni settimana, con una formula anche piuttosto confusa, confesso che le seguo davvero con grandi difficoltà e soprattutto per questioni professionali, ma se fossi uno spettatore qualsiasi, ne farei anche a meno e forse tornerei a prestare più attenzione dalle semifinali in poi. In relazione alle italiane, mi sembra stiano facendo bene. L’Inter in Champions ha fatto benissimo, ma anche la Lazio in Europa League, anche le altre però, seppur con alti e bassi, si stanno comportando bene. Ribadisco però che le troppe partite condizionano anche le formazioni, con la necessità di sostituzioni e riposi forzati decisi dagli allenatori, proprio in virtù dell’eccessiva frequenza ravvicinata delle gare. In definitiva non sempre vediamo gli 11 migliori in campo e diventa anche difficile giudicare squadre e competizioni.

Lei è entrato presto nel giornalismo, a 17 anni. Una vera e propria passione, ce ne vuole parlare?

Più che una passione, probabilmente un vero amore, perché non volevo fare altro che questo, il giornalista! Andavo ancora al liceo, era l’autunno 1976, mi presentai ad un giornale del pomeriggio. A Roma c’erano tre quotidiani del pomeriggio, “Paese Sera“, “Il momento Sera” e “Vita Sera” ed era più facile entrare in contatto con questi, piuttosto che con i grandi quotidiani quali Il Messaggero, Il Tempo, etc.. Cercai quindi di pensare ad un modo, un’idea che potesse darmi la possibilità di entrare in quel mondo. Un giorno mi appostai fuori dallo Stadio Flaminio, dove a volte si allenava la Lazio, aspettai Felice Pulici, portiere della Lazio dello scudetto (1973-74) e lui si fermò davanti a questo ragazzino con un piccolo taccuino. Pulici fu molto gentile, appoggiato allo sportello della sua macchina, ascoltò e rispose alle mie domande. Bussai quindi alla porta del giornale “Vita Sera” che essendo uscito per la prima volta poche settimane prima, poteva essere ideale per avere una chance di essere assunto. Naturalmente nutrivo grande speranza, ma rimasi comunque sorpreso quando l’allora Capo Redattore Giuseppe Melillo decise di pubblicare la mia intervista. Da lì è iniziata la mia gavetta e quindi la mia carriera. Felice Pulici che ricorderò sempre, ogni volta che mi incontrava mi rammentava l’episodio dicendomi: “Ricordati che devi tutto a me!

Ha lavorato con alcuni dei più grandi giornalisti italiani, Maurizio Costanzo, Tito Stagno, Enzo Biagi, Gianni Minà, Sandro Ciotti, ci  parla un po’ di loro e di cosa e quanto le hanno dato a livello professionale? Ci svela qualche aneddoto?

Vero, ho lavorato con tutti loro, ma ne voglio citare uno in particolare che è Tito Stagno. E’ colui che mi ha assunto in Rai a 20 anni e che ha scommesso su di me facendomi un piccolo contratto e dicendomi, in maniera diretta e schietta, che solo se avessi dimostrato quelle capacità che lui intravvedeva, saremmo andati avanti. E’ stato colui che mi ha insegnato tutto e che mi ha fatto innamorare della televisione, del racconto televisivo, delle immagini, della scrittura televisiva. Tito Stagno è stata una figura fondamentale per me, un padre professionale. La regola aurea che Tito mi ha insegnato e sempre ripetuto della scrittura televisiva è che deve avere tre caratteristiche principali: brevità, semplicità e chiarezza! La cosa curiosa è che in quinta elementare ebbi come compito quello di scrivere un tema su un argomento che mi aveva particolarmente colpito ed io parlai della vicenda dell’Apollo 13 (1970). Nello svolgimento del tema citavo il fatto che aspettavo la sera per vedere il telegiornale e ascoltare Tito Stagno dare gli aggiornamenti sull’Apollo 13 e i suoi astronauti. Dieci anni dopo mi sono ritrovato a lavorare con lui.

Lei ha intervistato grandissimi campioni dello sport, da Senna a Prost, Alberto Tomba e tanti altri. Quale personaggio le è rimasto più impresso e perché?

Sono davvero tanti, ma paradossalmente quello che mi ha più colpito è un personaggio che non ha nulla a che fare con lo sport. Nella mia vita professionale in Rai sono stato anche capo della redazione “Cultura e Spettacolo“. All’epoca c’era Vincenzo Mollica con le sue bellissime interviste alle grandi star del cinema, della musica. Nel 2000 si doveva raggiugere Londra per intervistare Madonna, in occasione dell’uscita del suo brano “American Pie” e Vincenzo era impossibilitato ad andare. Ero il suo Caporedattore e nonostante non mi occupassi di quel genere di servizi mi proposi di sostituirlo. In una suite di un albergo di Londra era stato allestito un vero e proprio set televisivo ed erano presenti giornalisti di tutte le principali televisioni europee ed ognuno aveva otto minuti a disposizione per l’intervista. Ebbene, lì ho avuto la percezione della grande star che era Madonna, molto rigorosa, molto professionale. Ogni tre interviste si cambiava d’abito! Questo perché non voleva apparire in tutte le televisioni d’Europa con lo stesso vestito. Lì ho davvero capito cos’è una star di Hollywood. Madonna, anche se molto disponibile durante le interviste, aveva proprio l’atteggiamento della diva. Un episodio invece relativo ad un personaggio dello sport c’è stato con Michael Schumacher. Un giorno a Fiorano Luca Cordero di Montezemolo, allora Presidente della Ferrari, regalò a Michael una 500 rossa per il Natale del 1997. La 500 era stata anche la prima macchina che Michael aveva guidato da ragazzo e, anche per questo, era felice come un bambino, tanto che fece un giro di prova sulla pista durante il quale suonò continuamente il clacson, gioioso di aver ritrovato un pezzo del suo passato.

Lei si è occupato di quasi tutti gli sport, ma quale la appassiona più di tutti?

E’ una scelta difficile perché in realtà sono tre. Sono il tennis, la Formula Uno e l’atletica. Adesso ovviamente sono super felice di vedere Jannik Sinner vincere, ma a suo tempo ho seguito Andre Agassi, Pete Sampras, Roger Federer. Ero al foro italico quando Adriano Panatta vinse gli internazionali d’Italia nel 1976 ed ho l’autografo di Rod Laver un grandissimo che ha vinto per ben due volte il Grande Slam. La Ferrari e quindi la Formula Uno è un altro sport che ho sempre apprezzato da appassionato seguendo diversi gran premi a Monza, ma anche le prove della Ferrari a Vallelunga con Niki Lauda e Clay Regazzoni. L’atletica che ho anche praticato da bambino e per la quale ho avuto la fortuna di fare il telecronista affiancando prima e sostituendo poi un grande come Paolo Rosi. Essere il telecronista dell’atletica è stato un grande onore, ma anche una grande responsabilità avuta dal 1987 al 1992. Raccontare lo sport in diretta non si può paragonare davvero con null’altro, è qualcosa di unico ed io ho avuto la possibilità di farlo grazie all’atletica. Conservo ancora un record del mondo, come commentatore dell’evento, quello del salto in lungo di Mike Powell con 8,95 m ai mondiali di Tokyo nel 1991, un record impressionante e ancora imbattuto dopo 34 anni.

In carriera ha inanellato molti successi anche con i suoi libri. Nel 2009 vince la 43ª edizione del concorso letterario Coni per la sezione saggistica con il volume “La partita più importante”, insieme a Donatella Scarnati. Nel 2023 il prestigioso premio “Bancarella sport” nella 60ª edizione con “Una vita in alto”, sulla storia sportiva di Sara Simeoni. Come sono nati questi libri?

Il primo racconta la storia drammatica di Gianluca Pessotto, ex calciatore della Juventus, un ragazzo molto sensibile, che purtroppo, come accade ad alcune persone, è vittima della depressione che coincide con il suo addio al calcio giocato. In un attimo di crisi tenta il suicidio buttandosi dall’ultimo piano dell’allora sede torinese della Juventus (era il 27 giugno 2006 ndr). Miracolosamente si salva cadendo e rimbalzando sul cofano della macchina di Roberto Bettega. Insieme alla mia amica Donatella Scarnati che ha seguito molto il calcio e conosceva Pessotto, abbiamo pensato di scrivere la sua storia. Il secondo libro racconta la vita di una grandissima campionessa delle sport, Sara Simeoni. La storia di una bambina che voleva fare danza classica, ma scartata dal gruppo delle ballerini dell’Arena di Verona perché troppo alta e con i piedi troppo lunghi. Sara passò all’atletica leggera, nel salto in alto, sino ad arrivare a vincere la medaglia d’oro alle olimpiadi di Mosca del 1980, dopo aver stabilito il record del mondo con 2,01 m nel 1978.

Ci descrive Donatella Scarnati, storica giornalista Rai?

Donatella è una delle mie amiche più care, ci conosciamo dal 1987, anno in cui lei arrivò al Tg1. Donatella è stata la prima donna ad imporsi in televisione raccontando e parlando di calcio, la prima a partecipare alla storica trasmissione di Paolo Valenti, 90º minuto. Ha seguito innumerevoli edizioni dei campionati del mondo ed europei di calcio, olimpiadi e tantissimo altro. Ha un talento raro nelle interviste, con lei gli interlocutori si aprono, si raccontano, spesso le hanno dato notizie in esclusiva. Un caso per tutti è stato quello di Totti, all’epoca del conflitto con Spalletti. Una delle giornaliste più brave, in generale e nello sport, che la Rai abbia avuto.

Dal Tg1 al Tg1, la vita fa tanti giri ma poi spesso si torna al passato. Lei è professionalmente nato e cresciuto al Tg1 ed ora è tornato, un amore che non finisce mai? Altri progetti per il futuro?

Innanzitutto sono grato alla Rai per avermi assunto, poi per avermi dato la possibilità di fare tante esperienze e conoscere tantissime persone interessanti, di aver avuto tanti ruoli all’interno, in gran parte al Tg1, ma anche a Rai News dove sono stato anche Vicedirettore, a Rai Sport sia da Vicedirettore che da Direttore, seppur per un breve periodo. Grato anche per essere poi tornato a casa, al Tg1, dove ho trascorso più tempo che a casa mia. Sono legato al Tg1 non solo professionalmente, ma anche affettivamente. Ogni mattina faccio progetti per il futuro, seguendo lo sviluppo del mio lavoro, ma se potessi farei il giornalista fino a 100 anni, ma lo farò sicuramente sino a che la forza e la lucidità mentale me lo permetteranno. Essere un giornalista era quello che desideravo sin da bambino e mi piacerebbe finire come tale, un amore vero e puro. Un amore ricambiato anche dal pubblico che è poi il vero e unico “Padrone”, come mi insegnava Enzo Biagi.

Quali saranno o potrebbero essere gli eventi sportivi significativi di questo 2025?

Sperando che la vicenda doping si dissolva, questo potrebbe certamente essere l’anno di Jannik Sinner che ha già iniziato alla grande confermandosi agli Australian Open e non vedo l’ora di poterlo ammirare al Roland Garros, a Wimbledon, agli US Open, ma anche agli internazionali di Roma. Un altro evento importantissimo sarà il mondiale di atletica a Tokyo, dove si torna 4 anni dopo le Olimpiadi. Certamente non va dimenticato che la nazionale di calcio dovrà cercare la qualificazione al prossimo mondiale 2026 e speriamo che, grazie all’ottimo lavoro del Ct Spalletti, ci si possa qualificare per rivedere i colori azzurri ad un mondiale dopo 12 anni. Siamo poi nel corso dei mondiali di sci e possiamo sperare di ben figurare sia con le nostre stelle come la Brignone e la Goggia, ma anche con i molti altri atleti di assoluto livello che compongono la spedizione azzura.

Fonti foto: tuttobicitech.it; lanazione.it

Luigi A. Cerbara

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