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Iole Maria Volpi, scesa in campo per solidarietà, su Totti: “Mi disse se non ci si aiuta tra noi”

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In concomitanza della Giornata Mondiale delle malattie rare abbiamo intervistato la storica centrocampista, capitana della Roma femminile, la cui squadra (con lei in campo) ha affrontato la Flames Gold degli artisti dello spettacolo, battendoli per 4-1

Il 29 febbraio è una giornata estremamente particolare perché ricorre ogni quattro anni. Sarà forse per questo che è stata scelta come la giornata mondiale delle malattie rare? L’obiettivo è quello di creare consapevolezza attorno a oltre settemila patologie croniche e potenzialmente mortali che colpiscono circa 700mila persone in Italia e tra 27 e 36 milioni nell’Unione Europea. A questo proposito è ripreso dopo la pausa natalizia il progetto ‘No Limits Sport’. Presso il Campo ‘Danilo Vittiglio’ si sono confrontate la Flames Gold composta da artisti dello spettacolo e la compagine della Roma Calcio femminile. Dopo un primo tempo combattuto le ragazze giallorosse hanno dilagato nel finale di partita fissando il risultato sul 4-1. Madrina dell’evento l’attrice Martina Menichini, protagonista, dal 15-27 marzo, dello spettacolo “Quattro donne…e un bagno” al teatro Testaccio. Hanno giocato, tra gli altri: Valentino Campitelli, Vincenzo Capua, Fabrizio Pacifici, Fabiano Rivolta Cutigni, Andrea Palagiano, Massimo Emili e il campione Europeo di pugilato Pasquale Di Silvio; in panchina come mister d’eccezione l’inossidabile Marcello Cuicchi coadiuvato da Alex Pascoli e Cristiano Martinali, partner dell’evento con Keep Radio. La manifestazione a scopo benefico è dedicata alla campagna sociale ‘Vite Coraggiose’ promossa dalla Nuova Fondazione Bambino Gesù, per la ricerca e la cura delle malattie genetiche “orfane”, senza diagnosi e senza nome, dedicata ai malati rari e ultra-rari.

Roma calcio femminie-Flames Gold-Vincenzo Capua-Valentino Campitelli-Fabrizio Pacifici-Marcello Cuicchi-Alex Pascoli-Martina Menichini

Altrettanto rari sono esempi carismatici di calcio declinati al femminile e, in vista della festa della donna che è alle porte, non potevamo non rivolgere qualche domanda al simbolo della Roma femminile, il suo capitano Iole Maria Volpi. Volpi ha giocato anche nella Lazio, con la quale ha vinto lo scudetto nel 2002, e nel Milan.

Come è iniziata la passione per il calcio?

E’ nata e cresciuta con me. Da piccola andavo sempre in giro con un pallone tra i piedi e non uscivo mai senza. Nella mia città (Rieti) non esistevano scuole di calcio femminile e non ero neanche a conoscenza della possibilità di poter giocare con i maschi. Inizialmente ho praticato la pallavolo.

Qual è la differenza principale tra fare la calciatrice ed essere allenatrice?

Quando sei allenatrice sei maggiormente responsabilizzata come giocatrice, perché devi dare molto di più. E’un onore e un onere. Devi essere l’esempio concreto di ciò che tu stessa trasmetti a parole.

Cosa ti ha dato questo sport in termini formativi?

Tutto. A scuola quando le mie compagne prendevano un brutto voto piangevano. Per me è stato tutto molto più semplice. Giocando a calcio impari a saper perdere anche nella vita e a relativizzare ogni cosa. E’ un ambiente sano che dà gli strumenti giusti per apportare cambiamenti. Quando hai i fari puntati addosso hai anche il dovere di scendere in campo in tutti i campi. Per non parlare dei grandissimi insegnamenti che ricevi dagli infortuni. A questo proposito c’è un aneddoto.

Quale?

Mi infortunai durante la tesi specialistica, il cui titolo era: “Valutazioni e proposte per un territorio diversamente accessibile”. Interessandomi alle barriere architettoniche mi sono avvicinata al mondo della disabilità. E’stato un infortunio a darmi l’opportunità di mettermi in gioco e di conoscere quello che da lì a breve sarebbe diventato un lavoro.

E l’incontro con Totti, molto sensibile come lei alla beneficenza?

Totti aveva lasciato dichiarazioni a favore del calcio femminile e dei diversamente abili. Lo ho voluto incontrare ed è stato davvero carinissimo, perché si è messo sullo stesso piano e mi ha parlato da capitano a capitano. Ci ha tenuto a precisare in maniera estremamente sincera che per lui era doveroso dire certe cose. Mi è rimasta impressa la seguente frase: “Se non ci si aiuta tra noi…”

 Iole Maria e Francesco cori de sta città, in prima linea per aiutare chi soffre.

 Erika Eramo

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