La giornalista Erika Eramo ai microfoni di passionedelcalcio.it
Cosa si può fare per dare più spazio alle donne meritevoli non solo nel calcio ma anche nelle istituzioni e in ogni ambito che conta?
Paradossalmente smettendo di farsi questa domanda. Fino a quando ci sarà la mentalità che la donna debba dimostrare di valere due volte tanto l’uomo per ottenere meno rispetto a lui non si evolverà in questo senso. C’è una bellissima frase di Emma Bonino a questo proposito: “Le donne devono fare il doppio degli uomini per essere considerate brave la metà. Per fortuna non è così difficile”. Sono ottimista e voglio credere che tra un po’ s’invertirà la tendenza. Le donne hanno molto da offrire in termini di profondità e sensibilità. Ovviamente parlo delle vere donne. Non voglio generalizzare. Cultura, elasticità, savoir faire… se la donna è evoluta ha sicuramente una marcia in più e prima o poi verrà fuori. Cosa possono fare le vere donne, quelle meritevoli per essere notate? Nulla, semplicemente continuare ad essere la meraviglia che sono. “Diventa ciò che sei” affermava il grande filosofo Nietzsche, il resta verrà di conseguenza.
Il calcio pulito, il fair play, la non violenza unito all’eleganza e all’ironia è solo un’utopia o può trasformarsi in risultati tangibili? Come renderlo concreto?
Ho sempre pensato si debba usare il calcio che muove le masse per qualcosa di benefico, che unisca tutti. Per anni ho visto sui campi di gioco genitori che urlano al figlio: “spaccagli le gambe!”. Come si può avere un calciatore non violento se fin da piccolo gli viene insegnato che deve vincere a tutti i costi, fregandosene del rispetto per l’avversario? Iniziamo a partire dalle scuole: non solo concetti astratti, insegniamo a saper vivere con l’altro, senza sopraffazioni e rivalità. La competizione deve essere sana, mai eccessiva. Sono a favore di tutte le iniziative che coinvolgano insieme le famiglie e le scuole. E’ in questi due ambiti che si forma la personalità. Da una certa età in poi è complicato raddrizzare un ramo piegato, perciò bisogna darsi da fare presto.
Un tuo ricordo di bambina legato al mondo del calcio?
Tutte le partite con Roberto Baggio, soprattutto quelle dei Mondiali ’90 e ’94, perché ho un ricordo bellissimo di quegli anni. Vedevo le partite con i miei genitori ed il cuore era pieno di gioia. Come non ricordare l’abbraccio Baggio-Signori dopo il gol del 2-1 alla Spagna che ci mandò in semifinale nel ‘94? Per me è diventata un’ immagine-simbolo di un Mondiale e del calcio. Che coppia! Il sapore dello sport più bello del mondo è in quell’intesa lì!
Da adulta la partita a cui sei più legata?
Sicuramente il 4 luglio 2006 è rimasta una data da ricordare. Il giorno del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi, la Nazionale azzurra festeggia a modo proprio con una semifinale memorabile tra Italia e Germania nel Mondiale tedesco. La partita sembrava essere equilibrata, fino a quando le due magie di Grosso e Del Piero negli ultimi minuti del secondo tempo supplementare fanno esplodere Fabio Caressa in un “Andiamo a Berlino! Andiamo a prenderci la Coppa!” E per fortuna così poi è stato. Mi sono laureata il 6, a metà strada tra questa memorabile sfida e la finale storica vinta contro la Francia.
Il calciatore preferito protagonista di un’intervista ideale?
Non so se riuscirei a sopravvivere ad un’intervista con il mitico Roberto Baggio, visto che solo vedendolo ho avuto la tachicardia. In genere sono molto professionale ed abbastanza distaccata ma trovarsi di fronte chi ti ha fatto amare così tanto il calcio è stata un’emozione unica. Per tornare alla domanda ho talmente tante cose da chiedergli che non mi basterebbe un’altra vita: dalla sua carriera, alla famiglia, al buddismo, alla solidarietà…con lui posso spaziare davvero. Il divin codino è la poesia della mia vita.
C’è una giornalista sportiva a cui ti rifai professionalmente parlando?
In linea di massima no, perché credo bisogna costruirsi sempre un proprio stile personale. Se penso a due volti del giornalismo sportivo mi vengono in mente Simona Ventura e Ilaria D’Amico, che sanno tenere molto bene la scena, ma sono completamente diverse da me. Prendo l’essere sanguigno della Ventura, aggiungendo un po’ di dolcezza e l’eleganza della D’Amico, moltiplicando i sorrisi.
La frase o il motto che senti più tuo?
Da buona abruzzese ne prediligo tre dannunziani: “Memento audere semper”, “Et ventis adversis” ed “Iterum rudit leo”, che tra l’altro possono essere letti in fila visto che hanno una consequenzialità logica. Ricordati di osare sempre, anche con i venti contrari, perché è proprio quando gli altri credono di averti battuto che puoi dimostrare che ancora una volta il leone che è in te ruggisce. E come ruggisce forte in me! “Et Ventis Adversis” è diventato il nome di una mia rubrica in una rivista d’arte. I motti aiutano a vivere e io li incarno alla perfezione. Credo di riuscire a riprendermi anche nelle situazioni più negative e come un’araba fenice a rinascere sempre dalle mie ceneri, rinnovata e pronta per nuove sfide.
Stefano Rizzo