Il vate abruzzese, nato esattamente 153 anni fa, non è stato solamente uno dei più grandi scrittori italiani. A lui dobbiamo anche lo stemma tricolore appuntato sulla maglia della squadra che nella stagione precedente ha vinto il campionato nazionale
Nell’autunno del 1887 il giovanissimo Gabriele D’Annunzio raggiunge il Cenacolo degli artisti a Francavilla, vicino Pescara. Proprio in quei giorni il suo amico Francesco Paolo Tosti riporta dall’Inghilterra un pallone di cuoio di quasi un chilo, dalla circonferenza (70 cm) pressoché sferica cucita a mano con stringhe, costato un quarto del salario medio di un operaio italiano. In spiaggia la sua esuberanza lo porta a mettersi subito in luce dichiarando di voler oscurare gli inglesi nel “vivace e delicato gioco”: inventa qualche passaggio, improvvisa dribbling, tenta tiri a ripetizione. Calcolando male un rimbalzo si scheggia due denti. Da buon gaudente cerca di trasformare il dolore in piacere, lamentandosi con la sua ultima conquista per indurla all’immediata consolazione: “Ieri pomeriggio cercando di colpire con il mio piede così prensile, il sinistro, una palla di ottimo cuoio…fallisco l’impatto e precipito a terra, senza appoggio di mani…Quanto sangue ho versato amore mio!”. L’infortunio, pretesto per un incontro erotico, è rimasto famoso in quanto è il primo documentato nella storia calcistica italiana. Da quel momento conserva il pallone ma non gioca più. Il vate è famoso anche per altri sport ed attività ludiche: il pugilato, il fioretto, la scherma, l’equitazione, il nuoto, il ciclismo, il tennis, la ginnastica da camera, le corse in auto, i voli in aereo, il biliardo, le bocce, la caccia alla volpe. Della boxe in particolare è appassionato cultore. Non solo ama assistere agli incontri più importanti, come quello Carpentier-Jeannette avvenuto a Parigi nel marzo del 1914 (di cui ci è rimasta una colorita cronaca), ma si esercita ogni mattina con un punching ball sui generis, un pallone dal gambo duttile infisso in un piede d’ acciaio sul quale campeggia una parrucca dalle trecce arruffate. La sua mentalità eclettica lo porta a nutrirsi di cultura sportiva e pratiche quotidiane. Non a caso un referendum della “Gazzetta dello sport” lo proclama “atleta” dell’anno 1921.
L’impresa di Fiume, facendo crescere la sua popolarità, incide enormemente su questa decisione (in quel periodo istituisce l’ “Ufficio per l’ Educazione Fisica e lo Sport” improvvisandosi arbitro). Al campo sportivo di Cantrida viene organizzata il 7 febbraio 1920 una partita tra la squadra cittadina dei fiumani in neroverde stellato e una parte dei volontari dannunziani in camicia azzurra e calzoncini bianchi. D’Annunzio è in tribuna, orgoglioso di aver proposto per l’occasione un nuovo simbolo sulla maglia della squadra: uno scudetto bianco-rosso-verde, all’altezza del cuore, in stile sannitico antico. Lo stemma, elaborato ai tempi del volo su Vienna, viene proposto in questa occasione per sostituire, anche polemicamente, lo scudo crociato bianco e rosso della dinastia savoiarda. Per la cronaca i dannunziani perdono per uno a zero e l’orgoglioso poeta, convinto di potersi rifare, chiede la rivincita, fissata per domenica 9 maggio 1920, alle ore diciotto. E’rimasto famoso il discorso in cui esalta il gioco del calcio, rapportandolo alla guerra, appuntato in una pagina autografa oggi conservata negli archivi del Vittoriale: “Questo campo è un campo di combattenti, questo giuoco è un giuoco di combattenti. In una vecchia cronaca fiorentina si dice del calcio gioco proprio e antico della città di Firenze, a guisa di battaglia ordinata. I campioni di tutti i reparti qui si addestrano alla rapidità, all’agilità, al colpo d’occhio sicuro, al coraggio sprezzante, alla lunga lena. Qui si foggiano i muscoli forti e gli animi grandi. Il gioco a guisa di battaglia ordinata è la preparazione all’assalto d’armi. Perciò io non assisto alla festa di oggi se non come combattente capo di combattenti. Pronti? Io grido. E voi come mi rispondete? Pronti!”. Vincono però, ancora una volta, i cittadini fiumani col risultato di due a uno.
Nel 1924 Fiume viene annessa all’Italia e in agosto la Federazione Italiana Giuoco Calcio approva il distintivo tricolore per la squadra campione d’Italia. Lo scudetto di D’Annunzio, però in foggia “svizzera”, compare allo stadio Marassi il 5 ottobre 1924 sulle maglie del Genoa. Nel 1925 passa al Bologna e nel 1926 alla Juventus, modificato con l’inserimento dello stemma sabaudo. Nel campionato nazionale ’28-29 gioca anche l’Unione Sportiva Fiumana, con alcuni atleti delle partite dannunziane. Lo scudetto, dopo peripezie, cambiamenti e sparizioni, riappare nel 1947 a Firenze in occasione di Italia-Svizzera e ancora oggi è appuntato sulla maglia della Nazionale. Se quindi oggi usiamo la parola scudetto (ed il suo stemma) lo dobbiamo a un intellettuale anticonformista, ben lontano dai suoi colleghi “di stampo antico, in papalina e pantofole”, che ha fatto del motto romano “mens sana in corpore sano” una ragione di vita. Il suo percorso, da uomo sprezzante del pericolo che osa l’inosabile, galoppa sui versi di una poesia eroica, virile, agonistica, perché la sua letteratura, per usare le parole ironiche di Giovanni Pascoli, “è tutta uno sport: una cavalcata in frac rosso”.
Foto prese da: florence-free.blogspot.com e wikipedia
Erika Eramo