Abbiamo intervistato l’ex radiocronista della nostra Nazionale e storica voce di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Gli abbiamo chiesto cosa pensa del campionato e della Champions League. Non poteva mancare qualche riferimento alla sua intensa carriera da poco conclusa
Per quale motivo ha voluto dedicarsi totalmente alla radio, non diventando mai un volto tv?
Per molteplici ragioni. Le principali sono tre. In primis sono nato con la radio. Già a 8-10 anni la ascoltavo. Per me il calcio era la radio. In seconda battuta mi sono reso conto che quello che per gli altri è un limite, ovvero l’assenza delle immagini, per me è un privilegio. Tutto passa attraverso l’immaginazione e si instaura con chi ascolta un rapporto irripetibile. Inoltre, in un mondo in cui la parola è troppo sacrificata all’immagine, ho sempre preferito al “ti ho visto” il più suggestivo “ti ho ascoltato”. Solo l’ascolto ti permette di comprendere veramente le ragioni degli altri.
Chi sono stati i suoi maestri? Chi l’ha ispirata?
In primis Enrico Ameri e Sandro Ciotti, poi Guglielmo Moretti, l’inventore di “Tutto il calcio minuto per minuto”, Sergio Zavoli e Roberto Bortoluzzi. Da ognuno di loro ho cercato di rubare qualcosa. Da Ameri la capacità di emozionare, da Ciotti la grande proprietà di linguaggio, da Moretti la creatività ed il saper stare al passo con i tempi, da Zavoli il riuscire a entrare nella realtà sapendola raccontare, da Bortoluzzi il modo di dare ordine alle informazioni.
Un aneddoto su Ameri e Ciotti?
Sono stati per il calcio quello che erano Bartali e Coppi per il ciclismo, diversissimi umanamente e professionalmente. Gli aneddoti su di loro sono tantissimi. Ameri si alzava molto presto la mattina e arrivava allo stadio con grande anticipo. Mangiava un risotto in bianco e giocava a scopa con il barista. Ciotti arrivava 20 minuti prima allo stadio e improvvisava con la sua grande inventiva.
Le quattro semifinaliste di Champions sono quelle che si aspettava?
Non mi aspettavo che la Juventus passasse contro il Barcellona. Sono rimasto colpito e affascinato dalla maturità della squadra. E’ stato un mix di cultura calcistica italiana, intelligenza tattica e qualità tecniche. Abbiamo per anni osannato il tiki taka, ieri la Juve ha mostrato il calcio italiano, non solo difesa, ma anche attacco, riammodernando il concetto. Le altre me le aspettavo. Il Monaco ha meritato e continuerà a sorprenderci. Il Bayern poteva andare più in fondo.
A proposito di questa Juve così galattica cosa dovrà fare la Lazio per vincere la Coppa Italia? E’ possibile il triplete bianconero?
E’ un onore per la Lazio affrontarla in finale ma ritengo improbabile una vittoria biancoceleste. Sarebbe un’impresa titanica. Quest’anno ritengo possibile il triplete della squadra di Allegri che è cresciuta tantissimo.
Chi vincerà l’Europa League?
Anche se è una competizione meno scontata della Champions la compagine più accreditata è il Manchester United. Mi spiace non ci siano più formazioni italiane in gioco.
In questo campionato così noioso ci rimane solo parlare del valzer di panchine. I più papabili ad andar via sono Spalletti, Sousa e Pioli. Dove crede andranno?
Non condivido il tuo giudizio sul campionato noioso. Ogni partita mi ha emozionato. Semplicemente la Juve è più forte, ma questo deve essere uno stimolo per le altre che devono recuperare il gap. Sono possibili Spalletti all’Inter, Sousa alla Roma e Pioli alla Fiorentina. L’unico che, a parte le frecciatine con De Laurentiis, è in sintonia con l’ambiente è Sarri e non credo se ne andrà.
Lei ha dichiarato due mesi fa la sua fede laziale ed ha ammesso candidamente di aver gioito di tutti gli scudetti, persino di quello giallorosso. E’ possibile essere un giornalista e al contempo tifoso?
No, il giornalista tifoso è una contraddizione in termini. Non possiamo essere dei partigiani, non solo nel calcio, ma anche nella politica ad esempio. Bisogna ricordare la lezione di Enzo Biagi che diceva “il giornalista è un testimone della realtà”.
La partita più bella che ha commentato?
Non so se è stata la più bella, ma la più emozionante in assoluto è stata sicuramente la finale Mondiale, quella del 2006. Abbiamo palpitato e alla fine ho potuto gridare “campioni del mondo!”. Che privilegio!
Si è occupato anche di altri sport come l’atletica leggera, il canottaggio e la scherma. Con quale ha avuto un feeling maggiore?
Il calcio è la base di partenza. L’ho praticato a livello dilettantistico. Volevo fare il centrocampista ma mi relegavano in difesa perché non eccellevo. Mi piaceva l’odore dell’erba, della terra, della pozzolana. Seguire l’atletica ed il canottaggio -soprattutto nel periodo degli Abbagnale- è stato meraviglioso ma mi ha conquistato la scherma, tanto da essermi avvicinato tantissimo a questo mondo.
Un consiglio da dare ai giovani che vogliono fare questo mestiere?
Tre consigli. In primis raccontare sempre dov è la palla; poi rispettare il microfono, non temerlo. Rispettare il microfono è anche rispettare chi ascolta. L’ultimo che è il più importante è rispettare tutti, quelli che vincono e quelli che perdono. Non bisogna mai usare la parola “umiliare”. Nello sport non si umilia nessuno. È importante avere come base la cultura sportiva.
Erika Eramo