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Gaetano D’Agostino a cuore aperto: “Senza una considerevole apertura mentale, poco può cambiare”

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Ci sono incontri nel percorso di vita il cui esempio fa davvero sperare in un futuro più concreto, sono onorata e orgogliosa di aver potuto parlare con un Uomo che incarna questo auspicio

Gaetano D’Agostino in qualità di centrocampista ha indossato, tra le altre, le maglie della Roma, dell’Udinese e della Fiorentina nei primi anni del 2000.

Ciao Gaetano, ti ringrazio per aver accettato questa intervista a nome di tutta la redazione di passionedelcalcio.it; iniziamo dalla prima esperienza nella Roma, il passaggio in prima squadra a 16 anni con Zeman e poi il debutto in A con Capello, cosa ti hanno insegnato questi due grandi allenatori?

Zdenek Zeman

Intanto grazie a voi; il periodo in cui fui allenato da Zeman mi ha forgiato molto, grazie a lui ho imparato a vivere il calcio con sacrificio e a non mollare mai, mi ha insegnato tattica e tecnica. La filosofia di Capello era più improntata sulla vittoria, la disciplina e il rispetto delle regole, quando dico che per me Capello è stato l’allenatore più importante intendo dire che mi ha insegnato a vivere letteralmente di calcio, ci diceva sempre che si è calciatore ventiquattr’ore al giorno, non solo nelle due ore di allenamento quotidiano.

Fabio Capello

Quali insegnamenti hai ricevuto da quel fantastico gruppo con cui avete vinto lo scudetto del 2001?

Al di là dell’emozione di condividere lo spogliatoio con dei meravigliosi campioni, ho imparato che più il livello è alto più trovi umiltà. Io ero giovane e avevo anche un po’ di timore ad espormi, stavo più in silenzio ad ascoltare, ma la modestia che ho trovato in quello spogliatoio è stata davvero ammirevole, anche nei momenti di pressione ho trovato una disponibilità esemplare da parte di tutti, pensa che con tutti loro abbiamo un gruppo su whatsapp e nelle ricorrenze ci facciamo sempre gli auguri, ragazzi meravigliosi davvero. Quando in seguito mi sono affermato come calciatore di più alto profilo, ho sempre cercato di portare l’esempio di quel gruppo anche con i ragazzi più giovani o meno conosciuti con cui condividevo lo spogliatoio provando a trasmettere quella filosofia: il valore dell’etica.

Vieni dato al Bari per due stagioni, torni alla Roma per una stagione e mezza, come è stato il tuo rientro? Cosa ha determinato per le sorti di quella squadra?

L’esperienza con il Bari è stata bellissima, tornai alla Roma da protagonista con quindici presenze da titolare in generale e chiudemmo la stagione al secondo posto in classifica. L’anno successivo mister Capello lasciò la Roma per andare alla Juventus e quell’annata per la Roma partì male e finì peggio. Cambio di allenatore, arrivò Prandelli che mi dava considerazione ma si era persa l’armonia, il famigerato litigio tra il mister e Cassano fu solo un altro tassello di un capitolo che si stava per concludere, poi un altro cambio, ecco Delneri che mi fece giocare in un ruolo che non era il mio con la contestazione dei tifosi. Ero giovane, dovevo ancora affermarmi e trovare la mia identità nel giusto ruolo e dunque a gennaio di quell’anno decisi di andare via perché avevo il timore di bruciarmi, passai così al Messina.

Nel 2006 entri a far parte della rosa dell’Udinese e finalmente trovi la tua “comfort zone” diventando tra i miglior registi della serie A. Che periodo è stato?

Quando arrivai a Udine cominciai davvero a fare il mio calcio grazie all’intuizione di mister Malesani che un giorno mi chiamò in spogliatoio e mi comunicò che aveva intenzione di provare a mettermi davanti alla difesa, io rimasi un po’ spiazzato e gli risposi che non avevo mai giocato in quel ruolo ma lui sosteneva che io avessi le qualità per farlo; mi disse che ci saremmo presi due settimane di tempo, mi avrebbe spiegato alcuni movimenti e appena ci sarebbe stata l’occasione sarei sceso in campo. Ovviamente mi fidai e pur di giocare mi sarebbe andata bene qualsiasi decisione, lui mi insegnò come pormi sia a livello difensivo che offensivo, come smarcarmi, fino a quando scesi in campo e da quel ruolo non sono più uscito. Quel fulgido periodo rappresentò il mio pass per la Nazionale.

Nel giurno 2009 esordisci nella Nazionale maggiore sotto la conduzione di Marcello Lippi, cosa ci racconti?

Come ti dicevo aver avuto la fortuna di trovare chi ha saputo indicarmi il mio giusto ruolo ha reso più semplice il compito a Lippi nello scegliere i componenti della squadra, se non avessi avuto una precisa collocazione in un ruolo definito probabilmente avrei continuato a correre per tutto il campo ma sarei rimasto un ibrido; è quel che accadde anche a Pirlo, nel Brescia, nell’Inter e nella Reggina giocò da trequartista, finché Ancelotti al Milan lo trasformò in regista e da lì la parabola ascendente di Pirlo che tutti conosciamo.

Nella stagione 2010-2011 giochi nella Fiorentina, il tuo ricordo del compianto Siniša Mihajlović?

Arrivammo alla Fiorentina praticamente insieme, anche lui stava cercando di completarsi come allenatore ma per me fu un padre, un amico, anche un nemico perché era una persona che ti diceva tutto in faccia, non aveva filtri. Ecco, lui appartiene a quella parte del mio cuore in cui ci sono davvero poche persone e quelle sono indelebili, è stato un vero uomo, tra i più veri nel mondo del calcio.

D’Agostino e Mihajlovic

Chi pensi possa essere considerato tuo erede?

Sinceramente ti rispondo nessuno perché il calcio è cambiato, vedo pochi centrocampisti che provano tiri lunghi, oggi si predilige il passaggio corto, ci sono pochi specialisti sui calci piazzati. Per me il top resta sempre Pirlo, fai fatica ad individuare chi ha queste attitudini, oggi i giocatori sono più metronomi, si cerca l’ordine in campo mentre noi eravamo dei fantasisti arretrati e cercavamo di verticalizzare, di creare assist, eravamo attenti alle geometrie, ad esempio i calci d’angolo o le punizioni venivano battuti dai registi delle squadre oggi si tende più verso un calcio tattico .

Cosa rende la Roma così speciale per cui alcuni giocatori, di altre città italiane ma anche stranieri, restano tifosi giallorossi ancora oggi dopo tanti anni?

La Roma ti entra nel cuore, nel bene e nel male, vivi il calcio tutto il giorno in ogni quartiere, si sente la forza della passione dei tifosi, respiri amore. Roma per me è l’ultima città del sud, sa farti sentire un re o nessuno, basta poco perché si infiammi di gioia o si scateni di rabbia e poi l’Olimpico pieno con i cori e i colori delle bandiere è uno spettacolo impressionante ma anche nelle trasferte trovi sempre tre, quattromila tifosi che ti fanno sentire a casa, difficile non innamorarsi. Sono pochi i giocatori che vogliono scappare, nonostante per storicità la Roma non abbia quasi mai vinto titoli importanti.

In questo susseguirsi sul “toto allenatore”, tu chi pensi sia adatto alla Roma?

Guarda, io direi Gasperini perché ritengo sia necessario mettere ordine e lui è un allenatore che sa progettare, ti valorizza, sa farti crescere e sudare sul campo. Un nome su tutti sarebbe quello di Antonio Conte perché la Roma come il Napoli non è una piazza semplice e lui ha il carattere giusto per gestirla, ma anche Allegri perché sappiamo essere un allenatore vincente. In generale a Roma serve un condottiero più che un allenatore.

Il 15 marzo c’è stata l’assemblea costitutiva della nuova Confederazione Calcistica Italiana a cui hanno assistito i vertici della nostra redazione, in che modo ne fai parte?

Ho valutato attentamente il progetto, confrontandomi in più occasioni e ho aderito perché oltre alla credibilità di un nome storico ho incontrato persone molto collaborative per cui ognuno fa il suo lavoro ma con grande complicità, c’è la voglia di sostenersi, di programmare. Tutto è in linea con il mio operato di sempre e ho il supporto di persone che mi apprezzano e mi vogliono bene.

Quali cambiamenti potrebbe apportare nel mondo del calcio?

Senza una considerevole apertura mentale poco può cambiare, il calcio non l’ho inventato io, ma il “modus operandi” delle persone può fare la differenza, la passione che si applica, la professionalità e la voglia di stare sul campo per contribuire alla crescita dei ragazzi.

Hai dato vita ad un progetto ormai ben avviato e di grande successo creando la “D’Ago Soccer Technique, ci spieghi il tutto?

Il progetto è cresciuto tantissimo, merito della credibilità, perché io sono presente sul campo con i ragazzi e ai miei collaboratori dico sempre che la chiave di tutto è la passione, se si ha passione ai ragazzi questo arriva e se hai voglia di insegnare di certo li migliorerai, se hai vivo un sogno i ragazzi impareranno a tenere vivo il loro. L’aspetto fondamentale è uno, se vedi i ragazzi come numeri hai perso in partenza, se li ritieni esseri umani che hanno bisogno di supporto tecnico ed emotivo, che sia una correzione o un abbraccio, allora l’azienda crescerà da sola; io ho improntato la mia academy su questi principi, inoltre cerco sempre di apportare delle novità, ogni due o tre mesi integro qualcosa in più, che sia un pallone o materiale innovativo, ho davvero l’ambizione di fare bene.

Quando vivevi a Firenze avevi aperto una scuola calcio, pensi di crearne una anche a Roma?

Ho il pensiero di farlo, devo però trovare la struttura consona, proprio stando con i bambini ho imparato una cosa che prima non avevo, la pazienza, quindi attenderò il momento giusto perché voglio che sia una scuola d’eccellenza.

Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, quanto è stata determinante la presenza di tua moglie nel tuo percorso?

Io dichiaro sempre che mia moglie è la mia migliore amica, la mia migliore amante e la donna più bella del mondo. Se non si vive così un rapporto, come oggi spesso accade, le storie si sgretolano. Lei collabora con me come videomaker nei miei eventi, cura i rapporti con gli sponsor oltre ad avere i suoi impegni di lavoro e la gestione dei nostri figli ai quali cerchiamo di trasmettere i nostri valori, tenendo vivo il confronto. Quando inizio e termino le mie giornate ho sempre l’obiettivo di guardare la mia famiglia a testa alta, certo di non aver mancato di rispetto alle persone più importanti della mia vita. Non nego di aver ricevuto nella vita delle provocazioni ma quando hai una base solida e concreta nel rapporto di coppia si ha la libertà e la leggerezza di dire di no.

Fonti foto: ASRTalenti.Altervista.org; Almanaccogiallorosso.it; Calciopedia; Sport.Sky.it; Labaroviola.com; TuttoMercatoWeb.com

Daniela Fazzolari

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