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Franco Nanni: “Che ricordi, quella cannonata vincente al derby. Il Mago Herrera non la mandò giù”

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Chiacchierata con l’ex mediano della Lazio scudettata del ’74: un viaggio tra passato e presente, tra derby vinti, aneddoti del calcio negli anni ’70 e la visione sui giovani da educare prima come uomini che come calciatori

– Lei si prese il soprannome di Scaldabagno (in romanesco, termine con cui si indica un tiro particolarmente potente) per via delle sue cannonate che non lasciavano scampo al portiere.
– Calma, più che Scaldabagno -soprannome che mi diedero anni dopo che mi ritirai dal calcio- ai tempi mi chiamavano Bombardino. Più che potenza di tiro, avevo un ottimo impatto col pallone: per questo segnavo anche dalla tre quarti, o quantomeno i portieri per fermarmi dovevano fare veri e propri miracoli.

– Fu anche match-winner di un derby nel ‘72/73, proprio con uno dei suoi tiri.
– Esattamente e se ne parlò molto all’epoca. Arrivammo al derby praticamente appaiati in classifica. Noi eravamo appena saliti dalla B, la Roma pensò di vincere abbastanza agevolmente. Partìì da centrocampo, ne dribblai tre/quattro e scaricai un tiro con Ginulfi che la battezzò male. A fine gara Helenio Herrera mi disse: “se ci provi altre mille volte non ti riesce mica a segnare”. Gli risposi :“ok, mandatemi al limite dell’area a palla ferma. Segnerò ugualmente”. In tanti mi maledissero, in tanti mi celebrarono. A fine stagione poi la Roma si salvò a fatica, noi gettammo le basi per lo scudetto dell’anno dopo.
Quell’anno non credevamo che saremmo arrivati a sfiorare il titolo, ma giornata dopo giornata ci venne l’acquolina in bocca.

Franco Nanni tiene il pallone nella Lazio scudettata

– Non solo la Lazio nei propri ricordi, anche gli anni di Bologna furono importanti.
– Esatto. Mi vollero i rossoblù e la Fiorentina. Poi, da toscano verace (nato a Pisa, fa la spola tra un paesino della provincia e Roma, ndr) preferivo di gran lunga la maglia viola, ma il Bologna offrì di più e la Lazio mi mandò lì. Mi tolsi belle soddisfazioni, tra le tante ci fu il momento in cui rubai palla a Lippi (Marcello, ndr) che cercò nella propria area di rigore di farmi il tunnel. Segnai un gol rocambolesco.
Ci fu anche il momento dell’interessamento della Juve: ricordo il parquet della sede a San Carlo, talmente levigato che quasi passavamo in punta di piedi per non rovinarlo, nonché una volta in cui dopo una gara ci regalarono un abito di Ermenegildo Zegna, costosissimo (ride, ndr)

– Il presente, tra Superlega e soldi nel calcio.
– Contrarissimo alla Superlega, perché le favole e le aspettative dei tifosi vanno rispettate. Serve una maggiore ripartizione delle risorse e non può essere che gli introiti alle piccole arrivino solo dalla vendita alle big dei loro pezzi pregiati. Quel che manca però è l’educazione mista al talento. Un Balotelli da noi in quella Lazio non avrebbe mai fatto strada, talenti come Cassano e Adriano eran bravi ma mancava il senso di sacrificio della squadra. Quello che invece abbiamo avuto noi, e che ci ha fatto vincere lo scudetto ’74.
Ai giovani manca l’esempio che un allenatore può dare. Io poi sono sempre stato uno senza compromessi: se mi rispetti, bene. Altrimenti non giochi. Per questo motivo ho anche pagato uno scotto pesante.

– Ultima domanda sulla Lazio, sul caso tamponi, sulla richiesta di Lotito del 3-0 a tavolino: che ne pensa?
– Ammetto di non aver seguito troppo la vicenda, ma non è possibile rinviare così tante partite e lasciare troppo campo alla giustizia sportiva. E’ il campo che deve parlare e solo giocando le partite si stabilisce chi è il più forte.

Fonte TMW, Messaggero
Valerio Campagnoli

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